Dopo tanta attesa torna in Italia Murakami Ryū, una delle più grandi voci della letteratura giapponese contemporanea.
Ne abbiamo parlato (insieme al CeSAO) con Gianluca Coci, che per Atmosphere Libri Casa Editrice ha tradotto “69 | Sixty-nine”.
Continuiamo allora a parlare di libri, e ci dedichiamo all’altro Murakami, Murakami Ryū, con il suo nuovo titolo 69 | Sixty-nine tradotto in italiano da Gianluca Coci e edito da Atmosphere libri.
Visto l’autore e il titolo, qualche premessa d’obbligo.
Murakami Ryū non è tra i gli autori più conosciuti in Italia: di suo è stato tradotto solo Blu quasi strasparente (a lungo fuori commercio) e Tokyo Decadence. Non abbiamo quindi accesso alla gran parte della sua opera per riuscire ad avere un quadro d’insieme e per riuscire a contestualizzare questo titolo. Inoltre, e appunto legato a 69, questo testo si differenzia in maniera notevole dagli altri titoli citati, restituendo quindi un’immagine differente dell’autore, e del Giappone stesso.
Ecco perché mi risulta in parte complicato parlarvi di Murakami, quindi tenterò più che altro di darvi delle suggestioni, delle atmosfere e degli spunti di riflessione, sperando di poter presto avere accesso ad altre opere di questo scrittore.
Murakami Ryū è nato nel 1952 – quindi è più o meno coetaneo dell’altro Murakami (che è del 1949) – ed è originario del Kyushi (prefettura di Nagasaki). Si tratta, il suo, di un Giappone ancora relativamente lontano e periferico rispetto alla grande Tokyo, e questo aspetto non è per nulla secondario ai fini di questo romanzo: Sixtynine sembra avere una forte, fortissima eco autobiografica, e ci proietta rapidamente in un Giappone periferico, lontano dalla grande modernità del centro, in cui rivolte studentesche (siamo appunto nel 1969) e fascinazione per la cultura occidentale si mischiano in maniera interessante.
Anche se da noi è stato appena tradotto, in Giappone ha visto la luce nel 1987: è un romanzo che quindi si pone ad una distanza quasi ventennale da quegli eventi, che riesce a guardarli da un punto di vista particolare. Potremmo dire che è lo sguardo dell’adulto che guarda con nostalgia e lucidità alla sua giovinezza, a quel periodo carico di sogni, di rabbia, di aspettative e di promesse che è il passaggio dal liceo all’università. Ancora di più se teniamo conto che quel passaggio si concretizza nel pieno delle rivolte del 1969 che, anche se spesso noi lo dimentichiamo, hanno raggiungo le università giapponesi causando rivolte (anche violente) e numerosi arresti.
Nel concreto, il romanzo è la narrazione in prima persona della vita di uno studente del Kyushu, che sta affrontando proprio l’ultimo anno del liceo, con tutte le difficoltà del sistema scolastico e con tutto l’eccitamento del contesto in trasformazione.
E in questo divertente e per certi versi leggero spaccato di vita post adolescenziale, Murakami ricorda (perchè l’autobiografia è potente in queste pagine) la forza delle istanze politiche e filosofiche del periodo (basti pensare alla guerra in Vietnam o alle polemiche antiamericane), insieme a una quotidianità dove sesso e droghe pur non mancano ma dove a farla da padrone in realtà è soprattutto la musica. La musica dei Beattles, il rock americano e inglese anni Settanta, i generi importati dai militari americani (figure che tornano anche in altri romanzi di Murakami).
Un fermento culturale, quello di Sixty nine, che ben racconta di un’epoca di trasformazioni e di stravolgimenti. E lo fa anche con la lingua: una lingua fresca, ironica e autoironica, con marcato accento locale, con l’utilizzo di uno slang giovanile e a tratti scurrile che restituisce immediatamente credibilità a questo spaccato studentesco.
Rispetto ad altri romanzi di Murakami, non posso che definire Sixty nine un testo leggero, quasi un romanzo di formazione, che gode di una composizione e una scrittura (e traduzione) coinvolgente e divertente; eppure, le tematiche che tornano di fondo non sono del tutto scevre da problematiche che continuamente tornano nell’autore. Il conflitto con la tradizione, il Giappone underground e cupo, il confronto con gli americani, la presenza di un orizzonte filosofico potente che però non viene accolto alla più ampia platea degli adulti.
Più avanti, avrò modo di parlare di Blu quasi trasparente, un romanzo violento e (questo si) rivoluzionario che racconta un Giappone spesso tenuto lontano dallo sguardo.
Per ora, vi consiglio questa lettura, godibile e davvero fresca, per avvicinare un autore per tanti versi complesso e di sicuro non alla portata di tutti.
GIANLUCA COCI
Docente di Lingua e letteratura giapponese presso l’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne. Direttore della collana di narrative dell’Asia orientale e sudorientale ASIASPHERE (Atmosphere Libri, Roma) e traduttore.
Nel corso della sua carriera ha tradotto le opere di molti scrittori giapponesi moderni e contemporanei, tra cui Ōe Kenzaburō, Abe Kōbō, Tanizaki Jun’ichirō, Kirino Natsuo, Ogawa Ito, Furukawa Hideo e Kakuta Mitsuyo. Ha inoltre scritto innumerevoli saggi e articoli in varie lingue.