Parlare di antenati e di culto dei defunti è molto delicato, ed è una parte del mio percorso di ricerca a cui sono particolarmente affezionata. Si tratta di un mondo in cui ci si muove con estrema cura e attenzione, un mondo fatto di tanti momenti intimi e delicati che richiedono cautela e partecipazione. Insomma, è un cammino che vivi e morti compiono insieme, quasi mano nella mano, in modo da garantire ai defunti un pacifico ingresso nel mondo dell’aldilà.
Chi sono i morti in Giappone?
Due categorie di defunti
Poichè parliamo di un tema complesso, è forse necessario partire chiarendo il campo con una dichiarazione: in Giappone, il mondo dei morti non è compatto e univoco. Siamo invece davanti a una dimensione ambigua, che si è arricchita nei secoli grazie alle costanti interazioni tra culti prebuddhisti e scuole più propriamente buddhiste, oltre all’immancabile influenza confuciana (ancora molto forte nelle maglie della società nipponica).
Gli studi antropologici e religiosi tendono a dipingere due principali immagini di defunto: da una parte, troviamo l’anima stabile e pacifica, yusurakana shisha (defunto pacifico), jōbutsushita shisha (colui che ha raggiunto il Nirvana), seisha wo mamori engo suru shisha(colui che protegge i vivi).
Potremmo dire che in questa categoria rientrano solitamente gli antenati familiari, senzo (i nostri nonni, i nostri bisnonni, coloro che fanno parte della nostra memoria collettiva, insomma) che hanno raggiunto la morte dopo una vita mediamente quieta, e senza troppi rimpianti.
Accanto ad essi, compare però la seconda immagine, quella forse per molti versi più popolare: ci troviamo davanti alle anime perdute, senza pace, guidate dal tatari (invidia e rancore) a causa del quale non riescono ad andare oltre e raggiungere il mondo degli antentati. Sono tutte quelle anime morte anzitempo, con troppi sospesi in questo mondo, troppe faccende aperte per poter procedere oltre. Esistono vari nomi per indicare questi spiriti, e la maggior preoccupazione dei vivi è solitamente quella di trasformarli da anime pericolose a spiriti protettivi: questa esigenza non nasce esclusivamente dal desiderio altruistico di donare la pace a uno spirito sofferente, ma dalla credenza che tali anime inquiete siano estremamente pericolose per il mondo dei vivi, e sia quindi necessario donare loro il giusto sollievo per convincerli a lasciarsi questo mondo alle spalle.
Solo quando la loro ira sarà pacata, queste anime potranno unirsi alla vasta società degli antenati ed essere così riassorbite tra gli spiriti benevoli.
La struttura familiare in Giappone
In Questa dicotomia è innegabilmente affascinante, e anche grazie ad un’immensa produzione pop (nipponica e internazionale) suscita in noi grande interesse e curiosità. Ma è bene ricordare che, in ogni società, gli immaginari dell’aldilà non sono mai distaccati dalle visioni sull’aldiquà (scusate le rime involontarie). E così, per comprendere meglio la ragion d’essere e le caratteristiche di queste due immagini, è necessario guardare per un istante ad una delle istituzioni sociali più importanti (qui come altrove), vale a dire la famiglia, e in particolare quella che per molto tempo è stata conosciuta come ie. Hori Ichirō, uno dei più grandi studiosi di folkore e di religioni popolari giapponesi, ha variamente impiegato il termine dōzoku per identificare la struttura familiare giapponese, considerata come un raggruppamento di un’unità principale, honke, e una serie di rami secondari, bunke, connessi per via patrilineare e attraverso una variegata serie di oneri e onori, tra di loro e verso la famiglia honke.
L’organizzazione di questa struttura (il cui scopo è quello di allargare le maglie della famiglia orizzontalmente in diverse linee secondarie, e verticalmente con diversi eredi e discendenti) prevede che il primogenito si faccia carico di continuare il ramo honke, mentre i fratelli (maschi) più giovani avevano il dovere di dar vita ai diversi bunke secondari.
Il sistema ie è stato istituzionalizzato per legge nel codice civile del 1898: elemento che, tra parentesi, ci ricorda che fino a quella data questo sistema di strutturazione familiare non era il solo, e soprattutto era solitamente appannaggio delle classi elevate. Con l’epoca Meiji esso è stato allargato a tutta la società, dando valore legale a quanto prima era sostanzialmente consuetudinario. con il sistema ie, ogni famiglia faceva riferimento a un tempio e un cimitero, e tutti i membri (honke e bunke) erano obbligati a partecipare a diverse celebrazioni annuali per commemorare i defunti, sotto la guida del capo famiglia honke. La famiglia honke è così la guida politica, economica e spirituale dell’intero dōzoku (o ie), e ha la responsabilità di controllare la vita quostidiana di tutti i membri honke e di tutti i rami bunke. In cambio, i membri dei rami cadetti erano legati al capo famiglia da diversi obblighi spirituali e materiali.
Il sistema è rimasto in piedi fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’occupazione ha imposto una nuova Costituzione e un nuovo ordinamento civile. La sua istituzionalizzazione ha rafforzato alcune caratteristiche del culto degli antenati, e delle pratiche funerarie (già presenti) e le ha caratterizzate per lungo tempo, lasciando tracce importanti ancora oggi. Se infatti il Codice Civile contemporaneo (del 1947) ha abolito l’ie in quanto entità legale, l’ie stessa ha continuato a sopravvivere per lungo tempo (e in parte ancora oggi) nel comportamento e nella pratica sociale, come modello familiare per eccellenza e come luogo predisposto al culto degli antenati.
Il culto degli antenati in Giappone
Chi diventa senzo?
Perchè è così importante fare riferimento a questo sistema antico? Per un paio di motivi centrali: il primo è che, come abbiamo accennato, è un sistema fortemente gerarchico (e patriarcale), dove la guida del capofamiglia è particolarmente netta; il secondo è che, in questo sistema, ogni discendente ha dei doveri precisi, volti al mantenimento stesso e alla sopravvivenza della struttura; il terzo è che il culto degli antenati (e quindi le immagini dei morti che abbiamo visto sopra) è una dimensione speculare di quanto si struttura nella famiglia dei vivi.
Il culto degli antenati ha la principale funzione di salvaguardare e conservare la struttura familiare. Pregando e omaggiando gli antenati, i padri fondatori della famiglia, si mira a rafforzare e perpetuare il sistema stesso, e a rendere le varie unità familiari interdipendenti e compatte: ogni ie ha un antenato, che viene adorato dalla famiglia honke e da tutte le bunke, garantendo così una base comune tra tutti i discendenti.
Ma come abbiamo detto, stiamo guardando a una struttura fortemente gerarchica: non tutti i membri della famiglia dei vivi sono sullo stesso piano di doveri e di prestigio. Allo stesso modo, non tutti i membri della famiglia sono destinati a diventare antenati, senzo; solo il capofamiglia può raggiungere questo status nell’aldilà – vale a dire solo l’erede maschio, il portatore della linea patrilocale e patrilineare, è qualificato per questo destino. Inoltre, per poter ottenere questo obiettivo, il capofamiglia (ovvero il primogenito) deve aderire alle norme sociali che gli sono imposte, e completare correttamente tutti i passaggi e gli stadi della vita: deve in particolare sposarsi e avere dei figli (possibilmente maschi) che garantiscano la continuazione della struttura ie.
Sotto il capofamiglia, troviamo il suo erede maschio che (qualora destinato a morire prematuramente) nell’aldilà diventerà uenbotoke, un morto con legami: questo, chiaramente, se avrà comunque raggiunto alcuni importanti traguardi familiari (moglie e figli) che mettano la famiglia al riparo dalla scomparsa. Per i figli cadetti, questi saranno destinati a diventare gli antenati specifici del loro bunke, creando così una simmetria ramificata anche nell’aldilà.
Mano a mano che gli defunti entrano a pieno titolo nella società degli antenati, perdono le loro connotazioni individuali e i loro nomi, e si uniscono nell’enorme entità senza nome degli antenati generazionali. Queste anime ormai anonime hanno il costante scopo e obbligo di proteggere i discendenti in vita – e quindi garantire la sopravvivenza della famiglia.
Infine, in questa scala gerarchica speculare, ai gradini più bassi, troviamo quei membri della famiglia che non hanno voluto o potuto completare correttamente le tappe della vita. Solitamente i fratelli più giovani, quelli che non hanno voluto sposarsi, che non hanno trovato una compagna, quelli che non hanno dato alla luce figli: questi sono i destinati a trasformarsi nei muenbotoke, i morti senza legami, che vagano senza meta nel mondo dei vivi incapaci di trovare conforto perché non hanno discendenti che si prendano cura della loro tomba, o che compiano i riti commemorativi per loro.
Prima di andare avanti farei notare un dettaglia importante: la donna, in questo sistema, ha un ruolo a dir poco marginale. Con il matrimonio solitamente abbandona la famiglia di nascita ed entra a far parte della famiglia del marito; alla sua morte, quindi entrerà a far parte degli antenati “acquisiti”, e sempre all’ombra del consorte.
Famiglia e società
L’importanza degli antenati, e del culto a loro dedicato, è così molto più chiara se ci ricordiamo il funzionamento della famiglia ie. L’appartenenza a tale struttura è così stringente che permane anche dopo la morte, e la consapevolezza di far parte di una data famiglia è rafforzata dal culto deli antenati. Lo ripetiamo ancora una volta, il culto ha lo scopo principale di mantenere salda la struttura e a garantirle continuità nel tempo, potenzialmente nei secoli.
Per questo, tutti quegli elementi che già in vita mettono a repentaglio la sicurezza e la sopravvivenza della famiglia vengono marginalizzati e stigmatizzati anche dopo la morte: nessuno deve sfidare la struttura, solo all’interno della struttura si è sicuri. Fuori, si è abbandonati a se stessi. Fuori si è muenbotoke, senza legami.
Nel Giappone contemporaneo, il sistema sta attraversando diverse trasformazioni, di cui spero di potervi parlare in un altro momento, seguendo le immani trasformazioni che la famiglia sta a sua volta vivendo. Ma l’immaginario è resistente, e in particolare l’immagine misteriosa, spaventosa e affascinante dei morti inquieti continua a popolare le leggende e la quotidianità nipponica.
Gli outsiders: fantasmi inquieti e anime sperdute
Muenbotoke e morti inquieti di varia natura si trovano all’opposto degli antenati, e intrattengono con i vivi relazioni complesse e difficili. Proprio il meccanismo che abbiamo intravisto sopra, il sistema familiare gerarchico e stringente, è alla base della categorizzazione di queste anime: le scelte di vita dissonanti, o la malemort (la morte prematura) pongono questi individui al di fuori della genealogia. Al contrario degli antenati sono fortemente individualizzati, e non si mischiano mai alla loro società.