Skip to main content

La volpe fa una piccola incursione per dare il benvenuto a Riccardo, che ci farà compagnia e ci accompagnerà in Giappone con qualche pillola di storia. Assaggi, per raccontare frammenti di passato (e non solo), e per dare il via a qualche conversazione nuova.

Benvenuto Riccardo, e a voi buona lettura!

Burakumin, il popolo “invisibile”

I burakumin (“abitanti dei villaggi”), noti anche con i termini chiaramente dispregiativi eta (sporchi, impuri) e hinin (non umani), sono un gruppo sociale che conta all’appello circa 3 milioni di persone. Anche se spesso si ignora, il problema della loro integrazione all’interno della più ampia popolazione giapponese (burakumin mondai), è un tema scottante ancora oggi. Vari ricercatori ritengono che l’identificazione/il consolidamento della comunità buraku sia una conseguenza diretta del blocco della mobilità sociale del periodo Tokugawa (1603-1868), che strutturava la società in maniera molto rigida, obbligando quindi chi praticava un mestiere tradizionalmente impuro a mantenerlo.

Nel rigido sistema a classi che si struttura in questo periodo, al vertice della piramide gerarchica si trovavano i samurai, seguiti a ruota dai contadini (fondamentali per la coltivazione del riso, bene primario dell’intera popolazione), dagli artigiani e, infine, dai mercanti. In questo sistema, i burakumin erano esclusi da ogni classificazione. Ciò era dovuto al mestiere a cui erano relegati; si trattava infatti di conciatori di pelli, macellai e becchini, lavori da sempre considerati impuri dai sacerdoti shintoisti e buddhisti perché spesso legati alla morte.

Stando ad alcune teorie, proprio la diffusione del Buddhismo sarebbe all’origine della condanna morale nei confronti di chi è tenuto a uccidere gli animali, lavorandone il sangue e le pelli. Ma la morte è ritenuta motivo di contaminazione anche dallo Shintoismo, la religione autoctona dell’arcipelago giapponese.

Durante l’epoca Meiji (1868-1912), e più precisamente nel 1871, con l’abolizione dei privilegi feudali venne abrogato l’obbligo occupazionale legato alla propria classe d’appartenenza. Nonostante questo, la situazione della comunità buraku non vide alcun miglioramento significativo, anzi. Ad esempio, le poche agevolazioni accordate loro durante il periodo Tokugawa, come la possibilità di amministrarsi autonomamente e l’esenzione del pagamento delle tasse sulla terra, vennero eliminate. Per i membri del gruppo fu dunque impossibile aprire qualunque attività e sorsero nuove discriminazioni in ambito matrimoniale e lavorativo.

Non avendo accesso alla terra e non potendo contrarre matrimoni con membri di altre classi, ben presto divennero un popolo nel popolo. Per l’esattezza, un popolo “invisibile”. Oppressi, discriminati e talora marchiati a fuoco come animali, oltreché dimenticati (o per meglio dire, ignorati) dagli organi governativi, alcuni membri della comunità si diedero ad attività illegali. Con la diffusione del gioco d’azzardo, alcuni buraku si trovarono a gestire le attività clandestine, mentre altri lentamente confluirono nella nascente Yakuza.

Le problematiche relative ai burakumin persistono ancora nel Giappone contemporaneo. Secondo un sondaggio condotto dal Ministero della Giustizia nel 2020 sulla popolazione riconosciuta come buraku, il 17.5% degli intervistati ha dichiarato di aver subito comportamenti di natura discriminatoria e violenze in base alle proprie origini. Ancora oggi, a molte coppie miste viene nei fatti vietato il matrimonio, mentre altre sono costrette a separarsi a causa delle fortissime pressioni sociali. La discriminazione continua anche in situazioni in cui una decisione dovrebbe essere presa solo in base alle qualifiche e alle abilità di un individuo; capita infatti che, in ambito lavorativo e durante la selezione del personale, vengano sollevate domande irrilevanti sull’origine della famiglia del candidato, dal momento che alcune aziende non desiderano assumere persone buraku tra i propri ranghi.

Un altro caso di emarginazione a loro carico è la cosiddetta “discriminazione della terra”; con ciò s’intende quel fenomeno attraverso cui vengono svolte indagini volte a discriminare zone specifiche in area urbana, così da evitare qualsiasi attività di compravendita legata alle proprietà dei soggetti buraku. Inoltre, “casualmente” il valore dei loro immobili è sempre valutato a un prezzo più basso rispetto a quelli di altre aree, anche quando le condizioni sono le medesime.

Per comprendere al meglio questo fenomeno bisogna tenere ben presente che, sin dal periodo feudale, i burakumin sono stati costantemente isolati e ghettizzati in aree e quartieri che hanno spesso resistito nel tempo.

Infine, non è possibile non menzionare la violenza generata sui social network. Sin dalla diffusione delle varie piattaforme digitali, è diventato estremamente più semplice per una buona fetta dell’utenza esternare il proprio odio nei confronti della minoranza buraku. Sempre secondo un report del Ministero della Giustizia, dal 2017 è stato riscontrato come il numero delle violazioni dei diritti umani online abbia superato di gran lunga il numero delle violenze perpetrate nel mondo reale. Di conseguenza, con il graduale rafforzamento delle leggi contro i crimini sulla rete, è aumentato anche il numero degli arresti.

È necessario tenere a mente con particolare attenzione che la storia familiare è un elemento estremamente importante in Giappone. Nella società nipponica, come evidenziato anche in precedenza, le proprie origini possono pregiudicare matrimoni e intere carriere. Al fine di salvaguardare la fetta di popolazione più svantaggiata, dagli anni ’70 il governo ha gradualmente reso più difficile accedere ai documenti che dimostrano il background familiare dei cittadini. Allo stesso tempo però non si è ancora riusciti a smantellare il jinshin koseki, ovvero il mercato parallelo di queste registrazioni familiari. Un caso eclatante relativo allo smercio illegale di informazioni private è stato manifestato con una vendita su Yahoo Japan. Due registri dell’era Meiji sono finiti all’asta e, sebbene il ministero della giustizia sia intervenuto con grande tempestività, è stato in grado di assicurarsi un solo documento, non riuscendo a ottenere il secondo, giunto invece nelle mani di un privato.

Nel corso degli anni anche numerosi artisti hanno tentato di realizzare opere volte a migliorare sensibilmente lo stato della comunità buraku. Tra questi, lo scrittore Shimazaki Toson che nel 1906 pubblicò un romanzo intitolato Hakai (“la promessa infranta), dove affrontava con coraggio la problematica degli emarginati della società. Nel testo, ambientato prevalentemente tra le montagne di Nagano, un eta particolarmente laborioso riesce a far dimenticare le proprie origini e a metter da parte il denaro per far studiare il figlio. Quest’ultimo diviene maestro e si avvia a una felice carriera, ormai pienamente integrato nella società giapponese “normale”. Ma gli studi, le letture e le amicizie intellettuali risvegliano la coscienza del giovane maestro, al punto che un giorno non riesce più a vivere col proprio segreto e durante una lezione dichiara di appartenere alla classe maledetta. Da quel momento ciò che prima era per lui una vergogna diviene quasi motivo d’orgoglio e dedica ogni energia alla liberazione degli Eta. Il romanzo ebbe un discreto successo, tuttavia la discriminazione era talmente radicata nell’opinione pubblica che non venne minimamente scalfita da questi primi tentativi dedicati a migliorare sostanzialmente le condizioni dei burakumin.

La problematica del burakumin mondai è tutt’ora attuale, sebbene la maggior parte dei giapponesi sia restio ad ammetterlo. Nonostante le molteplici iniziative avanzate per modificare le condizioni sociali di questa minoranza tanto bistrattata, non si è ancora riusciti a debellare un sentimento che, per quanto assurdo e ingiusto, è radicato all’interno della società nipponica da ormai diversi secoli.

Bibliografia

  • Rosa Caroli e Francesco Gatti, Storia del Giappone, Roma e Bari, Laterza, 2007
  • Ian Neary, Human Rights in Japan, South Korea and Taiwan, Londra, Routledge, 2002
  • Askanews.it
  • Chong-do Hah and Christopher C. Lapp, “Japanese Politics of Equality in Transition: The Case of the Burakumin”, Asian Survey Vol. 18, No. 5 (May, 1978), pp. 487-504 (18 pages), University of California Press
  • Video Youtube “La storia e la situazione attuale della discriminazione buraku in Giappone” del canale Let’s ask Shogo
  • World directory of minorities and indigenous people – Japan: Burakumin
[basel_title align=”left” title=”Mille Anni di Piacere” subtitle=”Consigli di Lettura” after_title=”Nakagami Kenji”]

Madre Oryù è una levatrice di cento, “o forse mille anni”. Racconta la storia di sei giovani, belli e selvaggi, posseduti da una colpa che ignorano, vittime di una tara annidata nel “sangue dei Nakamoto”. Tutti e sei, nati e cresciuti in epoche diverse nei Vicoli, hanno il gusto per l’erotismo più sfrenato, compiono furti, omicidi; tutti vivono sul filo di un pericoloso crinale, in bilico tra innocenza e crudeltà, legalità e trasgressione, amore per la vita e attrazione per la morte. La levatrice è testimone del tragico destino dei sei protagonisti; è la memoria storica della sottocasta dei non-uomini burakumin, tuttora discriminata e a cui lo stesso Nakagami apparteneva. Sei racconti legati in un unico sogno atemporale, che scandagliano la verità affascinante di un Giappone sublime e selvaggio.

[vc_single_image image=”15683″ img_size=”medium” alignment=”center”]