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Oggi mi metto alla prova con un argomento che amo molto, ma che non è di facile narrazione perché solitamente imbevuto di linguaggio antropologico, e raccoglie concetti molto radicati in questa disciplina. Ma ci proverò lo stesso, ditemi cosa ne pensate!

Oggi parliamo di spazio sacro, spazio profano e elaborazione culturale in Giappone. Un dialogo, quello tra natura e cultura, che è universale e che in questa terra assume dei contorni (ai miei occhi) particolarmente interessanti.

È una caratteristica delle culture popolari premoderne stabilire i confini di uno spazio sacro separato da quello profano attraverso leggi molto precise.

 

Ogni cultura opera delle scelte per definire lo spazio sacro, le sue specificità e i suoi limiti, e queste scelte non sono mai casuali. All’origine vi è un’organizzazione generale dell’ecosistema; in questo ordinamento viene designata la porzione spaziale più adatta a riassumere le connotazioni del sacro

Raveri, Massimo, Itinerari del Sacro. L’esperienza religiosa giapponese, Ca’Foscarina, Venezia 2006

Ma cosa viene prima, la definizione culturale su cui si struttura la vita economica, o al contrario, viene prima quest’ultima e l’elaborazione simbolica giunge come supporto?

La relazione in realtà è bidirezionale, assistiamo a un continuo rimando tra i due aspetti della questione; se da un lato l’elemento pragmatico condiziona il panorama culturale, a sua volta questo plasma inevitabilmente la vita socio-economica delle comunità umane. Vi è quindi un dialogo continuo e reciproco tra la cultura e l’ambiente, che mira a individuare in primo luogo i confini entro cui si ha l’agire umano, e quindi i confini di cui ha bisogno una determinata società per autodeterminarsi; serve quindi a creare quell’opposizione – culturale – tra natura e cultura.

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Risaia e villaggio in Giappone

Nella mitologia del Kojiki il mondo isolano è inizialmente caotico; come abbiamo visto infatti la stessa Amaterasu decide di inviare sulla terra il nipote con il compito di portare ordine, e lo stesso Susano-wo, dio dalle valenze ambigue, compie numerosi viaggi nel territorio giapponese, durante i quali attraversa dure prove e diventa un eroe fondatore, rendendo la terra un luogo ordinato. Queste narrazioni mitiche fanno riferimento a quella rivoluzione che abbiamo precedentemente individuato con l’inizio del periodo Yayoi, nel 300 a.C.; è infatti il periodo in cui si passa a un’economia agricola, e in Giappone viene introdotta la risaia. Quest’elemento è il punto focale intorno al quale ruota la concezione dello spazio giapponese; la sua introduzione comporta un notevole intervento dell’uomo sulle terre, fino ad allora incolte, e richiede l’utilizzo di tecniche molto più complesse rispetto a quelle legate al “taglia e brucia”, fino ad allora praticato. La risaia, ta 田, trasforma il territorio, lo organizza e lo suddivide. Le attività ad essa legate, inoltre, scandiscono allo stesso modo il tempo; la vita dell’uomo e il suo lavoro inizia così ad organizzarsi su ritmi precisi, basati sull’acqua e sull’alternanza delle stagioni.

L’introduzione della coltivazione del riso garantisce maggiore stabilità nell’approvvigionamento di cibo, cosa che assicura una vasta diffusione delle risaie in praticamente tutto l’arcipelago; e poiché la coltivazione del riso comporta l’adozione di un tipo di vita stanziale, assistiamo parallelamente alla nascita del villaggio fisso.

Il villaggio, sato 里, e la risaia circoscrivono così lo spazio umano, e impongono una cesura netta tra la pianura, sede della vita umana, e la montagna, yama . La montagna è impenetrabile, ha una vegetazione intricatissima, è ricca di foreste; è quindi il perfetto opposto dello spazio della risaia. Mentre il sato è la rappresentazione dello spazio ordinato, articolato, il luogo degli uomini e della loro attività, la montagna è lo spazio disordinato, inarticolato, selvatico; è il regno naturale in cui l’uomo non può e non deve interferire. Questo spazio selvaggio e impenetrabile è associato, in antitesi al sato, a tutto ciò che non è umano; la montagna, con i suoi boschi, è il regno dei morti, dei mostri e degli dei.

Una piccola nota: la storia è più complessa di così, e una parte importante della popolazione giapponese ha continuato ad abitare i territori montani e a dedicarsi alle attività precedenti all’introduzione del riso. Ma la loro storia non è diventata la storia principale, le dinamiche di potere si sono sbilanciate dall’altra parte, e l’immaginario collettivo si è spostato sulla dimensione organizzata della risaia. 

Ma ne parleremo di nuovo, promesso!

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È sulla montagna che riposano i morti, e infatti possiamo notare che le famose tombe a tumulo, i kofun, riprendono nella loro forma la sagoma dei monti; è nella montagna che risiedono i kami, i buddha e i bodhisattva, e per questo molte montagne in Giappone sono sacre, e hanno dato origine a molte pratiche cultuali e ascetiche.

La montagna è il luogo dell’incontro con il sacro, dove si ha esperienza del divino; per questo riveste un importanza centrale nelle pratiche sciamaniche, diventando non solo l’immagine del regno dei morti, ma anche una sorta di axis mundi, la cui ascesa fisica corrisponde ad un’ascesa spirituale verso il mondo degli dei. La montagna si ricollega all’albero sacro, cosmico, essenziale nell’immaginario sciamanico e ascetico; con le sue radici nel regno dei morti e i suoi rami nei cieli, l’albero è il mezzo attraverso cui i diversi regni possono entrare in comunicazione.

Inoltre, altro elemento centrale, la divinità legata alla montagna, Yama no kami 山の神, è una divinità di carattere femminile; vediamo infatti che Ta no Kami 田の神, la divinità della risaia, legata alla fertilità e alla produttività, è maschile, e i culti ad esso dedicati sono culti ordinatori. Anche laddove la presenza di Ta no Kami è indicata da un fallo, non esiste mai un’associazione tra questo dio e la sessualità orgiastica, ma sempre il richiamo è all’atto ordinato e controllato che conduce alla fertilità. Yama no Kami, al contrario, è legata alla dimensione non ordinatrice, e quindi pericolosa, della sessualità; è solo attraverso Ta no Kami, dio ordinatore, che la potenza sessuale di Yama no Kami, originariamente pericolosa, può venire controllata, ed è solo attraverso questo controllo dell’ordine sul caos che si può produrre l’attività.

Altra piccola nota: anche la faccenda del kami della montagna è più complessa, perchè le immagini spesso si sovrappongo, racchiudendo ta no kami e yama no kami nella stessa figura. Ma anche di questo ne parliamo in un altro momento!