Per lungo tempo, la parola “itako” è stata associata (almeno nella cultura popolare) all’Osorezan, la Montagna degli Inferni che si erge al centro della penisola di Shimokita, nell’estremo nord della prefettura di Aomori. Certo, l’attività di queste sciamane è certamente molto più variegata e non si limita ai rituali eseguiti presso questo monte, ma il collegamente rimane un fortissimo e potentissimo elemento che ha favorito nei decenni passati ad accrescere la popolarità delle itako stesse. L’Osorezan è infatti una delle montagne sacre più importanti del Tōhoku, celebrata appunto come la “montagna infernale” data la sua natura vulcanica, e camminare sui suoi pendii equivale ad inoltrarsi nelle lande Buddhiste dell’aldilà.
L’Osorezan nella storia
Oggi l’Osorezan è conosciuto soprattutto per la celebrazione del Taisai di luglio, durante il quale le anime dei defunti – che solitamente vagano nei dintorni – tornano a cercare un contatto con questa riva e con i loro parenti che spesso fanno visita alla montana dal resto del paese. Le itako sono un elemento costante, ormai integrate visivamente nel contesto della celebrazione, e si riuniscono qui ogni anno per l’intera durata del Taisai, nell’area subito all’interno del Bodaiji, il tempio Sōtō Zen del monte. Ogni tenda blu elettrico che compare in questa spianata corrisponde a una sciamana, e ogni mattina – dall’alba fin dopo il tramonto – si sentono i canti e le parole dei kuchiyose richiesti dai visitatori.
La popolarità del luogo ha iniziato a crescere intorno agli anni Cinquanta del Novecento, quando le pratiche del monte hanno catturto l’attenzione dei mass media: nel discorso pubblico, queste tradizioni locali sono diventate un simbolo, un patrimonio culturale quasi nazionale che la modernità aveva iniziato a minacciare. I mass media si sono quindi focalizzati sulla presunta origine antica delle pratiche, in particolare delle credenze connesse al mondo dei morti: hanno anche identificato nel Bodai-ji il “tempio delle itako” (idea quantomai singolare, visto che il tempio stesso le considera poco più di ciarlatane), creando così una connessione istantanea e profonda tra il luogo e la specifica pratica sciamanica. Le itako cominciarono così a comparire nei giornali, nei quotidiani e nelle riviste, proprio in funzione della riscoperta dell’Osorezan e delle sue antiche credenze.
Osorezan, o il Monte del Terrore
Osorezan vuol dire letteralmente “Montagna del Terrore”; è collocata nella zona centro-meridionale della penisola di Shimokita, in una delle aree più recondite e remote di tutta la prefettura di Aomori – se non dell’Honshu stesso. Questa posizione così isolata, ai confini settentrionali dell’isola centrale, ha contribuito a restituire l’idea di antichità, di tradizione, di pratiche arcaiche che sopravvivono da tempi remoti: insomma, l’area è la prefetta rappresentazione dell’hikyō, regione inesplorata e segreta, distante dalla modernità.
L’Orosezan è un vulcano: il naso non vi può ingannare, perché la prima cosa che si percepisce arrivando qui è il prepotente odore di zolfo. Il paesaggio vulcanico è qui dominato da rocce grigie e gialle, vapori che sgusciano dal suolo, rigagnoli sulfurei in un panorma quasi monocromatico. Se non fosse per lui, il cristallino lago Usoriko dove nessuna vita può esistere. Attraverso la storia giapponese, questo luogo è stato conosciuto proprio come Montagna dell’aldilà, il posto in cui i defunti continuano a condurre vite parallele. Dove è possibile incontrarli, i defunti, attraverso una serie di pratiche consolatorie, commemorative, evocative, insomma di comunicazione con questi spiriti amati, specialmente durante il Taisai di fine luglio.
L’aldilà
Il monte Osore è un doppio aldilà: un luogo in cui le persone possono commemorare i defunti e prendere distanza dalla perdita, ma allo stesso tempo un posto dove è in possibile ristabilire una connessione, attraverso il kuchiyose delle itako.
In più ha un altro carattere doppio: è il luogo per incontri con gli spiriti, ma è anche il luogo che custodisce un Giappone antico e perduto, un’ipotetica anima originaria che non si trova nelle pieghe della modernità.
As such, Mount Osore has become a powerful site for the enactment of allegories of loss, a staging ground for practices that linger on the verge of vanishing
M. Ivy
L’Osorezan Taisai
L’Osorezan Taisai si celebra ogni anno a luglio; la partecipazione è altamente variegata, con turisti cittadini (domestici e internazionali), fedeli locali, giornalisti, ricercatori, ognuno con le proprie concezioni e aspettative circa la possibilità di un contatto con il soprannaturale, e con la curiosità per un mondo evanescente. Ritorna l’immagine tradizionale delle montagne come luogo dei poteri sovrumani (kami, spiriti e antenati), un’immagine rafforzata proprio dall’incredibile geografia del luogo che sottolinea la percezione di un aldilà spaventoso e a tratti inquietante, dove vivi e morti convivono fianco a fianco. La sua fama nel corso dei decenni ha trasformato il monte da punto di interesse locale a reijō (luogo spirituale) nazionale, con punte di popolarità anche a Tokyo e Osaka.
Durante il Taisai, il tempio tiene una serie di riti ufficiali per commemorare i defunti, soprattutto attraverso la figura di Jizo, e per pacificare gli spiriti più inquieti: è il momento di offrire kuyō, preghiere e recitazioni di scritture per onorare i propri defunti. Attraverso il ricordo, i vivi sperano così di consolare gli antenati, di evitare la loro ira e di ottenere i loro favori.
Oltre ai kuyō, il monte offre svariati modi per entrare in contatto con i morti: anche se siamo su un suolo buddhista, in questo caso si muoviamo su un territorio più sincretico, e non sempre con la completa accettazione delle autorità templari. Il culto di Jizō è proprio uno degli esempi di pratica più amata, ma meno ortodossa; l’Osorezan, in quanto rappresentazione fisica degli inferni, è in effetti il luogo perfetto per l’azione compassionevole e salvifica di Jizō, bodhisattva che salva i morti proprio dai tormenti dell’aldilà, e che li accompagna nelle transizioni da un piano all’altro dell’esistenza, fino eventualmente alle porte della Terra Pura.
Qui in Shimokita, ci sono diverse Jizō-kō, associazioni religiose fondate per il culto di Jizō, che rappresentano il riferimento di base per le pratiche al monte: queste associazioni, insieme alle famiglie delle comunità locali, sono inoltre il nucleo storico della clientela delle itako, anche al di fuori delle attività al monte Osore, e in particolare per rituali quali kamigoto (invocazione dei kami) o kuchiyose (invocazione dei defunti).
Pensando alle riflessioni di Marilyn Ivy su questo luogo, il monte si è trasformato – nel corso della storia – in un complesso sistema di commemorazione attraverso cui i morti possono essere appropriatamente ricordati. Anche se qui non esiste un vero e proprio cimitero (con sepolture effettive), si incontra una sovrabbondanza di tavole commemorative (anche di grande formato), offerte votive e momenti rituali che mirano a consolare i muenbotoke, i morti senza legami.
I visitatori spesso arrivano da queste parti per acquistare un tōba (sorta di stupa mmoriale di legno) come gesto commemorativo; in questo modo, il tōba finisce per rappresentare (e sostituire) il corpo del defunto, sottolineando così la connessione tra morte, memoria e significato. I credenti lo consegnano al tempio, mentre viene acceso l’incenso, e aspettano: il prete intona un sūtra, e dopo qualche tempo il tōba viene restituito al proprietario con le apposite iscrizioni, e collocato nel suolo al tōbajō. A questo punto spesso i credenti si siedono insieme per chiacchierare, mangiare e bere insieme.
L’assenza delle tombe all’Osorezan restituisce un’idea astratta di morte, nel totale distacco dai resti fisici del defunto. In questo modo, il Monte Osore interrompe la triangolazione tra morte, resti e tombe di famiglia, e diventa un luogo generalizzato della morte in cui gli antenati vengono commemorati comunitariamente: il tobajō funziona proprio come sostituto del cimitero, offrendo ai visitatori la promessa che qui, in questo luogo, la morte è stata tenuta sotto controllo. Il meccanismo conduce a tenere una certa distanza dalla morte concreta, e a trasformare il tobajō in un luogo in cui non si assiste ad un’effettiva dimostrazione di cordoglio: perchè la morte è appunto demarcata, indicata e controllata ed è raffigurata dagli antenati ordinati. Capita spesso di vedere qui, come in altre aree predisposte alla commemorazione, persone che si rilassano e che passano del tempo insieme in allegria, perché qui si arriva quando il processo duro, faticoso e crudo della morte è già stato concluso. La persona viene commemorata in assenza, e il suo ricordo ben segnalato da un simbolo, un memoriale, prevenendo così ogni possibile pericolo, ogni possibile vendetta e ogni incontro imprevisto con un’anima inquieta.
Osorezan e Itako
L’origine effettiva di questa relazione non è chiara; alcuni ricercatori ritengono che le itako non si siano avvicinate all’Osorezan fin dopo l’inizio dell’era Meiji, quando il governo ha iniziato una severa campagna che scoraggiava le pratiche della religione popolare, bollandole come superstizioni antiche. Questo stigma avrebbe quindi obbligato le itako a ritirarsi nelle campagne o in montagna per continuare la loro attività senza troppi controlli. Sakurai Tokutaro (grande antropologo delle religioni popolari giapponesi) suggerisce invece che alcune itako itineranti abbiano inziato ad arrivare qui all’Osorezan verso la metà del XVIII secolo, pur riconoscendo che nei documenti e nei report del periodo dedicati al monte, non ci sia menzione di queste sciamane.
Come abbiamo accennato prima, nel dopoguerra la parola itako è stata ampiamente impiegata proprio in connessione alle pratiche dell’Osorezan e al Taisai; i mass media e le riviste di viaggio, in particolare il periodico Tabi (“Viaggio”) hanno dedicato diversi servizi e articoli interessanti proprio alle pratiche sciamaniche delle itako, e alla loro relazione con la montagna. In questo discorso, l’itako è diventata la sola specialista del sacro che può garantire la comunicazione con i defunti, e pertanto la sua fama rimane strettamente associata a quella del luogo, e all’aura di mistero che circonda le varie figure (umane o soprannaturali) che abitano questi pendii.
Se siete interessati all’argomento, vi consiglio di nuovo il testo di Ivy segnalato sopra. Il libro Discourses of the Vanishing si può trovare su Amazon (solo in inglese). Online potete anche trovare diversi suoi articoli, quindi se avete voglia dovreste trovare diversi pdf online!