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Parlare di sciamanesimo può sembrare una missione facile, e immediatamente una serie di immagini si affollano nella mente: il vecchio stregone in trance che sussurra parole incomprensibili mentre suoni di tamburi e fitte nuvole di fumo riempiono la stanza (ovviamente buia). In realtà, la situazione è molto più complessa e molto molto più variegata.

Che cos’è lo sciamanesimo

La parola sciamano deriva dal Tunguso šaman, e significa letteralmente “colui che è eccitato, smosso o innalzato”. Una delle prime definizioni scientifiche di “sciamano” è stata data dall’etnografo russo V.M. Mikahilovskii, che descrisse lo sciamano come “un intermediario nelle relazioni degli uomini con gli spiriti”. Possiamo considerare questa come la descrizione di base dello sciamano, e del suo ruolo nella comunità; essa è la base su cui le si sono costruite le successive definizioni e interpretazioni. Shirokogoroff, l’autore russo considerato come la prima autorità nello studio dello sciamanesimo tungusi, ha definito lo sciamano come una “persona di entrambi i sessi che ha la padronanza degli spiriti, che può a piacimento fare entrare questi spiriti nel proprio corpo, e che può usare il loro potere per i propri interessi, in particolare per aiutare le altre persone che soffrono a causa degli spiriti”.

Nonostante il fatto che questa caratterizzazione è accettata e impiegata ampiamente anche negli studi contemporanei, non è libera da problemi; oltre al ruolo di mediatore, sembra difficile dare una definizione più dettagliata, e raggiungere un accordo su cosa costituisce l’elemento (o gli elementi) mentali dell’attività dello sciamano, delle sue tecniche e dei suoi metodi.

Il dibattito corrente sullo sciamanesimo è stato profondamente influenzato dallo storico delle religioni Mircea Eliade, il cui lavoro ha rappresentato per molto tempo un’autorità nel campo. Nel suo testo del 1961 Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy, Eliade ha cercato di creare una comparazione (a livello globale) del fenomeno sciamanico, cosiderandolo “la somma espressione della religiosità innata e senza tempo del genere umano, incentrata sulla trance estatica o sulle tecniche arcaiche dell’estasi”. Inoltre, uno sciamano diventerebbe tale dopo una malattia iniziatica durante la quale lei o lui esperiscono la prima trance estatica. Il suo focus è quindi principalmente sulla nozione di estasi considerata come l’esperienza dell’anima dello sciamano che esce dal corpo e si dirige verso i mondi spirituali. La possessione al contrario è l’azione di uno spirito che entra nel corpo dello sciamano e parla attraverso la sua voce; nell’interpretazione di Eliade, tuttavia, questa non corrispondeva al vero sciamanesimo.

In anni recenti, il concetto di sciamanesimo è stato al centro di un grande dibattito tra ricercatori e accademici, che hanno criticato questa interpretazione classica di Eliade, e hanno proposto nuovo e interessanti approcci al soggetto, concentrandosi in particolare sulla nozione del “ruolo” che lo sciamano occupa all’interno della società, e distaccandosi quindi da un’eccessiva attenzione su fenomeni di trance o ecstasi.

Lo sciamanesimo in Giappone

In Giappone, se possibile, la situazione è ancora più difficile. Da molti anni ormai, lo sciamanesimo giapponese è stato interpretato come un fenomeno marginale all’interno della categoria, molto difficile da analizzare e da includere nella definizione mainstream principalmente perchè gli studiosi hanno spesso sottolineato la mancanza della classica “elezione” sciamanica con la conseguente “malattia iniziatica”; questa considerazione generale ha condotto alla conclusione che la trance degli sciamani giapponesi non fosse autentica, e quindi che essi non potessero esser considerati come sciamani. Mentre queste critiche si basano su una definizione di sciamanesimo che, come abbiamo visto, è ad oggi piuttosto datata, i fenomeni giapponesi contengono comunque degli elementi problematici.

Quando si affronta il soggetto dello sciamanesimo popolare giapponese, emerge immediatamente un problema concettuale o di definizione nei documenti dedicati alla materia […] cioè quello di delimitare il range dei praticanti magico-religiosi che includo qui nella categoria di “sciamani folk” (popolari). Due sono le problematiche in particolare: la definizione di folk (minkan) e quella di sciamano (fusha)
Ikegami Yoshimasa

shamanism in JapanCome sottolinea acutamente Ikegami Yoshimasa, un primo dibattito concerne l’uso e i limiti della parola minkan 民間: esso sembra infatti fare riferimento a una specifica categoria di costumi indigeni tradizionali, escludendo quindi tutti gli specialisti professionali delle religioni istituzionali organizzate. Itakokamisama e simili rientrano senza dubbio in questa definizione, poichè presentano tratti (e svolgono attività) autonomi, ma possiamo trovare esempi in cui queste figure sono afferenti a gruppi religiosi organizzati (Tendai, Shugendo, e alcune Nuove Religioni come  Taiwa-shu, Tenrikyou, ecc.), causando quindi una difficoltà nella distinzione tra folk e non folk. Ikegami suggerisce di considerare come “folk” tutte quelle pratiche tipiche delle classe non dominanti, in contrasto con quelle ufficiali (kan), ma come lui stesso sottolinea, questo potrebbe condurre a definire diverse realtà locali Shinto come religioni “folk”.
La seconda problematica è l’utilizzo della parola fusha 巫者, solitamente tradotta con sciamano/a. Se si segue la classica teoria sullo sciamanesimo, dovremmo separare le  fusha da altri specialisti come profeti, yogenshakitōsha, etc.; di nuovo però, questa distinzione non è sempre funzionale all’effettiva attività delle varie fusha, che soprattutto nelle Nuove Religioni mostrano ruoli e caratteristiche variegate.

Le sciamane cieche

Fusha cieche sono presenti nel Tohoku (così come nelle prefetture di Tochigi e Ibaragi) almeno dal Periodo Edo; ad oggi, si possono ancora trovare interessanti esempli di queste pratiche accanto alle più diffuse fusha vedenti; queste ultime stanno infatti aumentando di  numero, mentre le prime, per una serie di concause, stanno rapidamente scomparendo. La denominazione di queste praticanti cambia a seconda delle aree e delle prefetture, ma tende a riflettere la distinzione tra non vedenti e vedenti; queste ultime sono generalmente chiamate hayari-gamisama ハヤリガミサマ, kamisama カミサマ, sensei せんせい (先生). Le fusa cieche hanno un’ampia varietà di denominazioni a seconda delle aree geografiche: in Aomori-ken, Iwate-ken (Nord) e Akita-ken (Nord) sono chiamate itako イタコo idago いだご, nell’area di Tsugaru (area ovest di Aomori-ken) arimasaアリマサ, in Akita-ken (sud) ichigo イチコ. Nell’area interna di Yamagata-ken, sono invece miko ミコ o migodo ミゴド. Nelle aree di Mogami e Murayama (Yamagata-ken), onakamaオナカマ. Nell’area di Okita (Yamagata-ken), in Fukushima-ken, in Tochigi-ken (nord), e Ibaraki (nord), sono riconosciute come waka ワカ o agataアガタ. Infine in Miyagi-ken e Iwate-ken (sud), ogamisama オガミサマ o okaminオカミン.

Le pratiche delle fusha cieche

shamanism in JapanCome alcuni ricercato hanno sottolineato, c’è un’importante differenza nelle pratiche dei due gruppi: mentre le fusha vedenti eseguono quasi esclusivamente i cosiddetti kamigoto 神事 e rituali di divinazione, le fusha non vedenti sono popolari per la loro attività di medium, con il rituale chiamato kuchiyose口寄せ, l’invocazione dei defunti. Eseguono inoltre un’ampia gamma di altri rituali come  (come il kami-oroshi, l’oshirasama-asobase, vari uranai ecc.), e specialmente nel passato erano conosciute come guaritrici locali. Quindi, mentre è vero che le fusha non vedenti possono eseguire rituali e attività delle fusha vedenti, il contrario si verifica molto raramente e il kuchiyose eseguito dalle fusha vedenti è sempre più semplice e veloce rispetto all’originale.