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Se non fosse abbastanza chiaro, qui Murakami è molto amato. E mentre vediamo che anche l'”altro” Murakami torna in Italia in nuovi titoli e traduzioni, oggi la volpe vi parla del secondo volume del romanzo “L’Assassinio del Commendatore”, tradotto da Antonietta Pastore e pubblicato da Einaudi.

Il mio parere in pochissime parole? L’ho amato tanto. Se avete seguito le mie riflessioni nel video precedente, sapete già che lo considero uno dei suoi lavori più completi: in grado di dare spazio a tutte le voci di Murakami, queste pagine vi restituiscono la sua visione surreale, la sua attenzione ai temi dell’amore e della perdita, la sua fascinazione per figure femminili particolari e in generale cariche di carattere.

È Murakami molto delicato, molto intimo che arriva nelle pagine di questo romanzo, l’autore che racconta la morte e la solitudine, che parla di rimpianto e di sofferenza. Ed è anche il Murakami del fantastico, dell’inimmaginabile. Qui, entrambe le anime trovano casa – a mio avviso – in maniera assolutamente convincente.
Di cosa parla però questo romanzo? Come molti altri romanzi di Murakami, la vicenda si apre con un uomo in difficoltà, un uomo che sta attraversando una fase molto triste della propria vita perché sta affrontando la separazione dalla moglie.
Quest’uomo – la voce narrante – è un pittore, in particolare un ritrattista che per ha un talento particolare per cogliere l’anima delle persone e portarla su tela. Questo suo talento gli consente, in pratica, di portare a casa la pagnotta.
Fino a quando, appunto, la sua vita viene stravolta dalla separazione.

Abbiamo visto nella prima parte del romanzo che, grazie ad una serie di contatti e conoscenze, riesce ad abbandonare la città – Tokyo – e ritirarsi a tempo indefinito in una baita in mezzo alle montagne, per dedicarsi a un nuovo percorso artistico.

La baita tra le montagne era la dimora di un famosissimo pittore del dopoguerra, e qui il protagonista trova il dipinto che da il titolo al romanzo: “L’Assassinio del commendatore”, una scena tratta dal Don Giovanni. Il pittore ormai anziano è ricoverato in un istituto, con gravi problemi di memoria, e il figlio ha quindi accettato di buon grado di affidare la vecchia casa al nostro protagonista, nella speranza che intanto riesca a tenerla sotto controllo.
Nel momento in cui il nostro uomo si sposta tra i monti e scopre il quadro segreto, come nelle migliori tradizioni di Murakami, iniziano a verificarsi diversi eventi particolari, inspiegabili, che mettono insieme le doti artistiche del protagonista, i numerosi incontri che questi sperimenta sul posto, e strane presenze che popolano la notte e i boschi.
Tra i vari personaggi che popolano le pagine, un misterioso vicino – proprietario di un’opulenta villa dall’altro lato del monte – e una giovane ragazzina dalla forza misteriosa. E ovviamente, immancabile, il messaggero dell’incomprensibile. Figura inquietante che compare e scompare, che convive con il pittore e poi scappa. In tutto questo, un ambiente naturale carico di segreti, un ricordo del pozzo che già compariva in L’Uccello che Girava le Viti del Mondo, e un finale in parte confuso e in parte – possiamo azzardarlo? – felice.