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Buongiorno e ben tornati nella tana della volpe! Oggi torniamo a parlare di libri perché il 22 marzo, nel nostro book club “Le letture della volpe”, abbiamo letto Residenza per signore sole e quindi oggi vi parlo proprio di questo bellissimo romanzo.

L'autrice

Residenza per signore sole (Marsiglio) è un romanzo di Togawa Masako, autrice nata nel 1933 con una carriera artistica variegata, tra cui anche quella di attrice e cantante. – per inciso, la sua esperienza nel più vasto mondo delle arti visive e teatrale emerge con forza in questo romanzo. Togawa ha raggiunto la notorietà pubblicando soprattutto gialli: questo è il suo primo titolo pubblicato in lingua italiana, tradotto da Antonietta Pastore e – confessiamo – proprio il fatto di aver la traduzione di Antonietta ci ha spinto a sceglierlo come libro della volpe di marzo. L’autrice è ancora relativamente sconosciuta in Italia, e quindi per chi legge in lingua italiana è difficile avere un raffronto con altri suoi lavori. Partiamo comunque con un’opera importante del 1962, che l’ha portata a vincere il premio Edogawa Ranpo, premio specifico per il genere.

Da qui è partita la sua carriera di scrittrice.

Incidente a un incrocio

Come raccontare questo romanzo… non lo so!

Confesso che anche nel book club ho avuto qualche problema a trovare i corretti appigli per accompagnare le persone nelle pagine; possiamo dire che è un romanzo a scene, a episodi, appunto in questo molto teatrale. Ma è anche un giallo – forse più un noir, per certi versi – che ruota intorno a una specifica location, una residenza per signore sole; una residenza, quindi, dove possono alloggiare solo le donne. Siamo negli anni ‘60 – quindi in un’epoca contemporanea al momento della stesura.

Stiamo entrando in un mondo particolare, sensazione accentuata proprio dallo stile letterario che ci ricorda lo script teatrale: questa residenza fa da palcoscenico e da quinta, nel suo susseguirsi di camere da cui si affacciano di volta in volta visi diversi.

Il romanzo, tuttavia, si apre fuori dalla residenza. Partiamo infatti con un evento scioccante, un incidente stradale dove un autista non meglio specificato – perché la sua funzione nel romanzo si esaurisce in questo episodio – investe una persona. All’inizio crediamo che la vittima stradale sia una donna perché veste abiti femminili; tuttavia, l’autopsia ci rivela che si tratta di un uomo. Dopo un iniziale stupore e una successiva ridicolizzazione del defunto da parte della polizia e del medico legale, capiamo che le indagini sull’identità della vittima si arenano, e questo rimane una sorta di cold case.

Un crimine doloroso

Dell’uomo non capiamo quindi l’identità, le intenzioni, la destinazione, la provenienza. Nulla.

Qui, cambio di scena.

Torniamo indietro nel tempo di qualche giorno, e ci troviamo a guardare dei movimenti sospetti dentro la residenza. Vediamo una donna e un uomo travestito da donna che porta nella valigia qualcosa. Primo e unico spoiler che faccio – perché sono le prime pagine e ci serve entrare nella narrazione: <trigger warning> nella valigia scopriamo che è nascosto il corpo senza vita di un bambino. Dopo un rapido scambio di battute, i due  prendono la valigia e il suo contenuto, e si dirigono verso i vecchi bagni in disuso della residenza, dove seppelliscono il tutto sotto il cemento.

Cambio di scena.

Siamo avanti di anni rispetto a questi momenti fugaci. La residenza deve essere spostata, per ragioni di viabilità e urbanistica: un sistema di particolari pompe idrauliche dovrebbe permettere alla struttura di slittare in avanti nel terreno. Non capiamo subito la rilevanza di questo evento, e le dinamiche interne tra le persone coinvolte, ma capiamo che lo spostamento potrebbe portare alla luce ciò che anni addietro è stato sepolto.

Da questo punto in avanti ci muoviamo nei corridoi della residenza attraverso lo sguardo e la voce delle custodi e delle residenti. Le due custodi si rivolgono a noi in prima persona, mentre le inquiline sono occhi che riportano gli eventi in terza persona. Ci viene offerto un mix di prospettive, di sguardi, di tone of voice e quindi anche di modalità narrative.

Attraverso queste voci femminili, iniziamo a capire che, oltre al misterioso crimine della valigia, ogni residente ha la sua ampia dose di segreti e di vergogne che in nessun modo vuole far trapelare.

Il passpartout mancante

Non è facile riportare con precisione i passaggi, e non è nemmeno il mio intento. Certo l’evento scatenante alla sequenza di eventi che animano il racconto è la scomparsa di uno dei due passepartout.

E dal momento in cui scompare passepartout c’è davvero un gioco di spie, di volti che si affacciano sui corridoi bui, di donne che si intruffolano in stanze altrui e scoprono l’una i segreti dell’altra.

E mentre si srotolano i misteri personali delle ospiti, un crimine antico ricompare: circa 6 anni prima, il figlio di uno straniero e di una giapponese era stato rapito e dato per morto in circostanze e dinamiche misteriose. Tutto sembra puntare alla residenza, e ad alcune delle residenti, come custodi di un segreto doloroso, che altre inquiline cercheranno di far venire allo scoperto.

Tuttavia, le premesse che ci vengono offerte all’inizio del racconto si spostano mano a mano che la narrazione procede, e ci conducono altrove. Di episodio in episodio, di porta in porta fino alla rovina finale.

È una scrittura molto rapida e coinvolgente, dove i toni di voce cambiano in maniera convincente, dove ognuna delle persone coinvolte potrebbe essere la responsabile e l’artefice del dolore altrui.

I personaggi sono caratterizzati in maniera molto interessante, anche laddove si possono rintracciare tratti più caricaturali.

E ci troviamo quindi in una dimensione di investigazione continua, dove di volta in volta le residenti si assumono il diritto, e anche il piacere, di indagare nelle vite altrui – tutto per capire chi è il responsabile del rapimento passato e quindi in che modo la residenza è coinvolta in quella vicenda.

Ripeto, è molto difficile raccontare, perché se andassi troppo nei dettagli vi ruberei il gusto della lettura. E questo è un libro che aborra gli spoiler!

Mano a mano che procediamo con le scoperte, e mentre la trama evolve in maniera inaspettata, arrivano i due colpi di scena finali.

*Io ne avevo previsto uno solo, l’ultimo. Il secondo, confesso, non l’avevo visto arrivare*

Il romanzo scorre senza difficolta, con ritmi molto veloci e personaggi intriganti e a tratti veramente inquietanti che popolano la residenza: personaggio in sé e per sé,  i suoi corridoi neri con porte che conducono a mondi misteriosi sembrano a volte evocare le atmosfere del thriller, ai limiti dell’horror per il tipo di immaginazione che stuzzica. Per amor di precisione, il romanzo non ha assolutamente nulla dell’horror, ovviamente, ma alcuni personaggi, alcune scene e alcuni escamotage possono solleticare quella fantasia.

Ovviamente consiglio caldamente la lettura di questo romanzo, che difficilmente può deludere chi ama il genere. Per chi di solito si tiene lontano dai gialli, forse può risultare un po’ più respingente, ma in fondo, anche grazie all’ironia marcata dell’autrice, penso possa risultare una lettura piacevole anche per chi non è appassionato del genere.

Ci sono alcuni elementi che, a prescindere dal genere letterario, restano molto interessanti. Il primo è la predominanza di personaggi femminili; salvo un paio di eccezioni, le protagoniste sono tutte donne e ci offrono uno sguardo sul Giappone degli anni Sessanta, post-occupazione, da un punto di vista particolare e di genere. Inoltre, come l’autrice stessa dichiara, sono donne un po’ più anziane della media, in parte già da tempo in pensione: nel mio immaginario (spero non troppo sballato!) si aggirano quindi attorno ai sessant’anni. Anche qui, ci sono un paio di importanti eccezioni, ma in generale la loro è l’esperienza di chi ha abbandonato le dinamiche sociali più pressanti, con un ritmo e uno stile di vita, distanti da quelli di chi è ancora coinvolto nell’attività produttiva. Sono inoltre persone che appartengono alle fasce medio-basse della popolazione, e sono persone circondate dalla solitudine.

Forse proprio questa solitudine è una delle caratteristiche più marcate di queste figure. Nessuna di loro ha una famiglia, un nucleo familiare primario: se esistono parenti, non sono comunque persone con cui convivere o creare una quotidianità, e in fondo è per questo che si ritrovano a vivere in questa residenza dedicata a donne sole.

Quella che si crea è quindi una rete sociale molto interessante – da ipotizzare, da immaginare – proprio perché è leggermente fuori asse rispetto al resto della società.

Altro elemento interessante è l’ambientazione storica. Siamo agli inizi degli anni Sessanta, l’occupazione alleata è già ampiamente conclusa ma in qualche misura la sua influenza si sente ancora: parliamo infatti di un rapimento che coinvolge uno straniero, parliamo di impatti culturali sulla scuola e la cultura popolare, parliamo di esperienza pregresse che affondano le radici nel Giappone imperialista. Le vicende a cui assistiamo riescono a restituirci la sensazione di una società in trasformazione.

Infine, notevole scelta narrativa, la trovata scenica di questa residenza (che nei miei occhi non è propriamente minuscola) che deve essere spostata in un complesso gioco di tecnologia dai contorni poco nitidi.

Non mi dilungo sulla traduzione, un po’ perché non è mia competenza e un po’ perché il nome non ha bisogno di introduzioni né di ulteriori annotazioni (Antonietta Pastore è ormai rinomata anche tra i “non addetti ai lavori”).

Sono – sarei molto tentata di raccontarvi altro, ma davvero non vorrei mai rovinarvi il gusto della lettura. Che dire? Leggetelo, leggetelo davvero! Momenti di tremarella anche se limitati (perché non siamo nell’horror), momenti un po’ inquietanti, eventi che non ho visto arrivare e poi lo snodo finale con i suoi colpi di scena che sono anche molto, molto simbolici di alcune pressanti dinamiche sociali.

Chissà se vi ho incuriosito…

Testo di Marianna Zanetta, tratto dal video in link. Editing di Ginevra Meinardi