Da quanto tempo ci conosciamo? Quasi 5 anni, più o meno? In tutto questo tempo, parlando di libri, vi ho sempre detto che i racconti non sono il mio forte. Che non riesco ad entrarci, a viverne le emozioni e a comprendere le voci che vi si muovono all’interno.
Ecco. Non è più vero. E per questo devo ringraziare Francesca Scotti. In parte perché, in un paio di incontri e di bookclub, mi ha portato a riflettere sul fascino di questa modalità di narrazione, sulla tensione in essa presente e sullo spaccato di universo che mostra (è colpa sua se ho letto Mantide, di Julia Armfield).
In parte, e soprattutto, perché la sua raccolta di racconti Il tempo delle tartarughe (Hacca edizioni) è una bomba.
Quindici racconti che raccolgono i profumi di Italia e Giappone, quindici incontri di umanità complicata, sofferente, spesso in bilico sul confine con l’altro mondo.
Forse sono di parte perché conosco Francesca, forse perché l’ho ascoltata raccontarci questi brevi viaggi umani: o forse perché i temi che affronta sono quelli che inseguo io da lungo tempo. Solitudine, fame di legami, ma anche disperazione e morte. I protagonisti (bambini, ragazzini, anziani, ma anche coppie alla fine della strada) si muovono in mondi di confine, spesso nella notte, a volte nell’ombra lontano dagli sguardi altrui. Michiko mi ha mangiato il cuore, ho pianto per Runa, l’isola del cuore mi ha lasciato un senso di appartenenza, e poi Flavia e Lorenzo, per i quali ho tifato fino alla fine.
Ho visto il passato, e spesso il rimpianto: del perduto, del mai avuto, di un progetto mai realizzato. Ho capito profondamente il tentativo di esserci – a volte fallendo – nello svelarsi delle dinamiche relazionali e nel dipanarsi delle scoperte, che anche a noi colgono di sorpresa come uno schiaffo inatteso. Presenze che vibrano nel presente, anche con il corpo. E del corpo, questi racconti non si dimenticano: corpi in sofferenza, corpi assonnati, corpi animali, gusci, emozioni tattili. Il corpo come presenza, come fuga e come scoperta sul confine del mondo invisibile.
In queste pagine trovate quindici piccoli gioielli luccicanti e dolorosi: affrontateli, sbirciate nei loro guschi sorprendenti e anche accoglienti.
E grazie a Francesca, per avermi riconciliato con la bellezza dei racconti.